Verso gli ultimi decenni del XIX secolo Singapore, oltre a costituire un fondamentale punto di snodo per i traffici mercantili relativi alle importazioni ed alle esportazioni dell’intera penisola malese, era anche diventato il porto di sbarco per eccellenza dove gli immigrati cinesi, indiani ed indonesiani, giunti in massa, approdavano in attesa di essere smistati prima di raggiungere le miniere di stagno e le piantagioni di caucciù che sorgevano a nord della penisola nei territori strappati alla foresta pluviale. Se nel 1878 si poteva annoverare sull’isola una comunità cinese composta da circa 34.000 individui, dieci anni più tardi, nel 1888, il numero degli immigrati cinesi raggiunse il picco delle 103.000 persone1.
Singapore e le comunità cinesi
Durante questo periodo la comunità cinese di Singapore si presentava come una compagine sociale abbastanza eterogenea costituita da diversi gruppi etnici dialettali. Tra questi ultimi si potevano distinguere: gli hokkien dediti al commercio e alle attività bancarie, i teochew prevalentemente contadini impiegati nelle piantagioni di caucciù ed i cantonesi inclini soprattutto alle attività artigianali. Si potevano censire tra costoro anche manovali non specializzati e commercianti. In netta minoranza si trovavano invece gli hakka e gli hainanese. Essi spesso si inserivano nel tessuto sociale di Singapore come marinai, servitori ed operai non qualificati2.
Al fine di fronteggiare la dilagante prostituzione forzata delle donne cinesi e gli abusi subiti dagli immigrati ad opera delle società segrete, nel 1877 venne istituito il Protettorato Cinese; una sorta di tribunale civile coloniale diretto dall’ufficiale William Pickering. Quest’ultimo, avvalendosi di una perfetta padronanza dei dialetti hokkien e cantonese, oltre che della conoscenza delle altre due realtà dialettali presenti sul territorio (hakka e teochew), riuscì ad espugnare le barriere culturali innalzate dalle società segrete, pur rimanendo nel totale rispetto dei costumi e delle pratiche tradizionali cinesi. Ciò gli permise di conquistarsi tra gli immigrati cinesi dell’isola l’appellativo di Thai Jin (grande uomo).
Egli stesso sottolineava che:
“One indispensable requisite for good government is a knowledge of the people to be governed; it is not too much to say that for the last fifty years we have been content to go on in almost total ignorance of the language, habits, and feeling of a great, and at any rate the most important, part of the population of our colonies in the Far East.” (3).
Gli indiani di Singapore
Al fine di completare il quadro multietnico offerto da Singapore in quel periodo, non possiamo esimerci dal far menzione della miscellanea comunità indiana, anch’essa costituita da differenti gruppi etnici e religiosi quali: i tamil provenienti dall’estremità meridionale del subcontinente indiano e dall’isola di Ceylon (attuale Sri Lanca), i bengalis originari delle regioni settentrionali dell’India, i nanaks conosciuti anche come mamax o tulikans nativi della costa del Coromandel (sud-est della penisola indiana), i chuliahs indiani musulmani originari del sud del Paese dediti alle attività commerciali ed in fine i mopahs o kakas giunti dalla costa del Malabar (sud-ovest della penisola indiana)4.
Singapore e la rivolta anti-coloniale
Sebbene grazie al trattato anglo-giapponese del 19025 i venti della prima guerra mondiale soffiarono debolmente sulla colonia di Singapore, il 15 febbraio del 1915 scoppiò la più sanguinosa rivolta anti-coloniale che la “Città del Leone” abbia mai conosciuto nel corso della sua esistenza. A circa tre mesi dall’ingresso in guerra della Turchia ottomana 815 truppe indiane di religione musulmana e 100 soldati malesi si ammutinarono provando a liberare 300 prigionieri tedeschi ed uccidendo circa 33 soldati britannici e 18 civili di nazionalità europea6. Negli anni di transizione tra la prima e la seconda guerra mondiale il Governo britannico, avendo avuto modo di valutare la politica estera espansionistica degli ex-alleati nipponici ed essendo oltretutto consapevole della rilevanza strategica di Singapore circa la difesa degli interessi del British Empire nei territori del Sud-est asiatico, nel giugno del 1921 decise di avviare la costruzione di una tra le più imponenti basi navali di cui la Royal Navy (marina militare britannica) abbia mai potuto disporre proprio nella regione di Sembawang a nord dell’isola di Singapore7.
Realizzata nel 1938 al costo di circa 60 milioni di sterline8, la base navale britannica di Sembawang, in caso di conflitto con le forze armate giapponesi, avrebbe dovuto proteggere sia la colonia di Singapore sia l’intero sistema economico e commerciale malese, australiano e neozelandese9.
L’occupazione giapponese
Allo scoppio della seconda guerra mondiale la difesa dell’isola di Singapore venne affidata al generale Arthur Percival. Costui poteva disporre di un contingente misto di circa 88.000 soldati tra britannici, indiani ed australiani. Sul fronte opposto era invece impegnato il generale giapponese Tumoyuki Yamashita, soprannominato “la tigre della Malesia”, ai cui ordini rispondevano circa 60.000 uomini10.
Il 10 dicembre del 1941, l’inaspettato affondamento della corazzata Prince of Wales e dell’incrociatore Repulse, attuato dai bombardieri dell’aviazione giapponese, consentì ai vertici nipponici di intensificare gli sbarchi sulla penisola malese, ormai priva di qualsiasi protezione, e di pianificare la conquista di Singapore mediante un attacco mirato da terra11. Il generale Percival, nel disperato tentativo di arrestare l’avanzata delle truppe giapponesi, nel gennaio del 1942 ordinò la distruzione, mai completata, del terrapieno che collegava la penisola malese e l’isola di Singapore. Circa 5.000 soldati giapponesi riuscirono comunque a sbarcare sull’isola e successivamente la colonia fu invasa da più di 25.000 truppe di fanteria e diversi carri armati nipponici coadiuvati dai cacciabombardieri dell’aviazione12.
Il 15 febbraio del 1942 il generale britannico Arthur Percival fu costretto ad arrendersi incondizionatamente al parigrado nipponico Tumoyuki Yamashita, il quale conferì alla ex-colonia britannica il nome di Syonan, in giapponese “Luce del Sud”13.
Fig. 8
A sinistra il generale giapponese Tomoyuki Yamashita, di fronte a lui il generale britannico Arthur Percival immortalato nell’istante in cui firma la resa di Singapore negli uffici degli stabilimenti della Ford Motor Factory in una foto dell’epoca14.
Nei tre anni e mezzo circa di occupazione giapponese, terminata con la resa incondizionata del giappone il 15 agosto del 1945, Singapore conobbe il periodo più buio e travagliato della sua storia. Il comando militare della ex-colonia britannica venne affidato al colonnello Watanabe mentre l’amministrazione municipale passò sotto la direzione del del sindaco Shigeo Odate e del console generale Kaoru Toyota15. In quegli anni circa 50.000 civili cinesi vennero barbaramente uccisi dalla Kempeitai (polizia militare dell’esercito imperiale nipponico) nel corso delle operazioni shuku sei (il lingua giapponese purificazione) perchè sospettati di aver supportato le guerriglie di resistenza anti-nipponiche16. Inoltre, il totale non rispetto della Convenzione di Ginevra (1929) da parte dei nipponici fece si che oltre 50.000 prigionieri di guerra britannici e del Commonwealth venissero efferatamente torturati e sottoposti a raccapriccianti regimi di detenzione nella prigione di Changi mentre più di 61.000 persone tra prigionieri di guerra britannici, australiani e olandesi furono costretti ai lavori forzati assieme a migliaia di civili malesi, tailandesi e cinesi nella costruzione della tristemente nota Death Railway (ferrovia della morte), la quale collegava la Tailandia alla Birmania17.
Il clima di terrore instauratosi durante il periodo dell’occupazione giapponese ebbe delle notevoli ripercussioni anche nell’ambito delle politiche dell’istruzione pubblica e della divulgazione della cultura in genere. La stampa e la radio furono i principali veicoli di diffusione della propaganda imperialista nipponica, la quale, dietro la maschera del progetto politico-economico riguardante il coinvolgimento della popolazione civile nella realizzazione della East Asia Co-prosperity Sphere(Sfera di Coprosperità dell’Asia Orientale), nascondeva lo scopo di favorire lo sfruttamento delle risorse naturali appartenenti ai territori occupati, costringendo alla fame la popolazione locale.
All’apertura delle scuole, nell’aprile del 1942, fu abolito l’insegnamento dell’inglese come lingua dell’istruzione mentre venne fortemente supportata la divulgazione della Nippon-go (lingua giapponese). In una prima fase, a causa della carenza di insegnanti la divulgazione della lingua giapponese venne affidata alla testata giornalistica Syonan Times (Straits Times in epoca britannica), la quale quotidianamente ne pubblicava le lezioni. Successivamente numerose scuole di lingua giapponese andarono via via sorgendo negli ex-edifici delle Overseas Chinese Associations. Avendo constatato l’iniziale carenza sia di insegnanti sia di libri di testo, Il direttore esecutivo del dipartimento dell’istruzione Mamoru Shinozachi fu costretto a consentire temporaneamente l’uso promiscuo delle due lingue, condizione protrattasi fino all’arrivo del primo libro di testo redatto in lingua giapponese giunto a Singapore nel luglio del 194218.
L’immagine n. 9 mostra un testo di grammatica giapponese utilizzato a Singapore durante il periodo dell’occupazione nipponica19. Nella figura n. 10 la prima pagina del giornale Syonan Times (Shimbun)20. La figura n. 11 in basso ritrae la scena di una lezione di lingua giapponese in un cinema di Singapore21.
Approfondimenti e letture consigliate
1Tremewan Christopher, The political economy of social control in Singapore, St Antony’s Series, Macmillan Press Ltd., Basingstoke, London, 1994, Great Britain.
2PuruShotam Srirekam Nirmala, Negotiating multiculturalism: disciplining difference in Singapore, Mouton de Gruyter, Berlin · New York, 2000, Germany, United States of America.
3Pickering William cit. in De Bernardi Elizabeth Jean, Rites of belonging: memory, modernity, and identity in a Malaysian Chinese community, Stanford University Press, Board of Trustees of the Lenan Stanford Junior University, Stanford, California, 2004, United States of America, p. 71, trad.: «Un indispensabile requisito per il buon governo è la conoscenza del popolo da governare; non è troppo dire che negli ultimi cinque anni ci siamo accontentati di continuare nella quasi totale ignoranza della lingua, delle abitudini e dei sentimenti di una grande ed ad ogni modo la più importante parte della popolazione delle nostre colonie in Estremo Oriente.».
4Siddique cit. in Trocki A. Carl, Singapore: wealth, power, and the culture of control, Routledge, Abingdon, 2006, op. cit.
5Hack Karl, Defence and Decolonization in Southeast Asia: Britain, Malaya and Singapore, 1941-1968, Curzon Press, Richmond, Surrey, 2001, Great Britain.
6Graf Arndt, Schröter Susanne, Wieringa Edwin, Aceh: history, politics and culture, ISEAS Publishing, Institute of Southeast Asian Studies, Singapore, 2010, Republic of Singapore.
7Ooi Keat Gin, Southeast Asia: a historical encyclopedia, from Angkor Wat to East Timor, ABC-CLIO, Santa Barbara, 2004, op. cit.
8Gretchen Liu, Singapore: a pictorial history 1819-2000, Curzon Press, Richmond, Surrey, United Kingdom.
9Smith L. Anthony, Southeast Asia and New Zeland: a history of regional and bilateral relations, Institute of Southeast Asian Studies, New Zealand Institute of International Affairs in association with Victoria University Press, Singapore · Wellinghton, 2005, Republic of Singapore, New Zeland.
10Horner David, The Second World War (1): The Pacific, Osprey Essential Histories, Osprey Publishing, editor: Rebecca Cullen, Oxford, 2002, United Kingdom.
11Jaques Tony, Dictionary of battles and sieges: a guide to 8500 battles from antiquity through the twenty-first century (vol. 3), Greenwood Press, Westport, Connecticut, 2007, United States of America.
12Axelrod Alan, The Real History of World War II: A New Look at the Past, Sterling Publishing, New York, 2008, United States of America.
13Visscher Sikko, The business of politics and ethnicity: a history of the Singapore Chinese Chamber of Commerce and Industry, NUS Press, National University of Singapore, Singapore, 2007, Republic of Singapore.
15Quah S.T. John, Public Administration Singapore-Style, Research in Public Policy Analysis and Menagment, Volume 19, Emerald Group Publishing Limited, Bingley, 2010, United Kingdom.
16Huen Pui Lim, Wong Diana, War and Memory in Malaysia and Singapore, Instutute of Southeast Asia Studies, Singapore, 2000, first reprint 2001, Republic of Singapore.
17Adams Simon, Occupation and Resistance, documenting World War II, The Rosen Publishing Group Inc., New York, 2009, United States of America.
18Ramcharan Robin, Forging a Singapore Statehood 1965-1995 The Contribution of Japan, International Law in Japanese Perspective, Kluwer Law International, The Hague, 2002, The Netherlands, op. cit.
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