Gli infortuni sul lavoro sono davvero così imprevedibili ed inevitabili? Cosa ci dice la normativa vigente e quali sono le precauzioni da prendere per minimizzare il rischio ed evitare spiacevoli conseguenze per la nostra impresa?
Negli ultimi anni il tema della salute e sicurezza sul lavoro è emerso con forza, costringendo le istituzioni a confrontarsi con un problema che è stato per lungo tempo messo in secondo piano dalle strategie economiche, le quali hanno mirato allo “sviluppo” senza considerare la qualità di questo sviluppo, ossia senza considerare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori e sottovalutando il fenomeno infortunistico.
Nell’immaginario collettivo s’impone una rappresentazione dell’infortunio sul lavoro come una “fatalità”, come un avvenimento che irrompe nella vita di un individuo quasi casualmente.
L’approccio dei mezzi d’informazione di massa è quello di preferire l’impatto mediatico della notizia, e così le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori sono raccontate, nella cronaca quotidiana, attraverso le morti sul lavoro (definite “bianche”) o i grandi incidenti nei luoghi di lavoro.
La salute del lavoratore è ridotta al “rischio di morire”, e l’infortunio somiglia sempre più a una “calamità naturale imprevedibile”.
A volte, la stessa sfera politica sembra agire sulla scia di questa forte emotività, favorendo le soluzioni più immediate, veicolate da una rappresentazione emergenziale del problema, invece che preferire soluzioni sistemiche e progetti di lungo respiro.
Addirittura la comunità scientifica risente di questa visione riduttiva delle condizioni di lavoro: l’attenzione si focalizza sugli infortuni più che sulle malattie professionali e dunque sullo stato complessivo di salute dei lavoratori.
Inoltre, l’attuale normativa, soddisfacente per la sicurezza dei lavoratori, si scontra con una realtà in cui a tutt’oggi, nonostante le continue proroghe, viene sostanzialmente inapplicata per due ragioni fondamentali: da parte dei datori di lavoro l’adeguamento delle norme di sicurezza continua ad essere visto come un costo aggiuntivo e gli stessi lavoratori, a cui la nuova normativa affida anche responsabilità di controllo sulle misure di sicurezza, nella maggior parte dei casi, non sono preparati a questo ruolo e si trovano in difficoltà ad esercitarlo rispetto a quei datori di lavoro con pochi scrupoli che approfittano della facile disponibilità di manodopera, per porre il lavoratore stesso in una condizione quasi di sudditanza.
Tra i tanti fattori che contribuiscono all’origine degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, vi sono:
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la mancanza di controlli da parte delle strutture a ciò preposte: oggi l’eventualità di un controllo è quasi pari alla possibilità di vincere alla lotteria, ciò è dovuto alla carenza di personale idoneo a svolgere tale ruolo;
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il lavoro nero e le vecchie forme di sfruttamento della manodopera.
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l’assenza di una cultura della prevenzione dei rischi da lavoro che sono considerati come inevitabili e connaturati con l’attività lavorativa e la conseguente
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l’inadeguata percezione del rischio.
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La superficialità e il comportamento inadeguato da parte dei lavoratori.
La percezione del rischio di infortuni sul lavoro
La “percezione del rischio”1 è l’elemento discriminante per l’adozione da parte dei lavoratori di comportamenti atti a prevenire possibili incidenti. Essa è legata al pericolo di una determinata entità (ad esempio materiali o attrezzature, metodi e pratiche di lavoro), avente il potenziale di causare danni.
La “percezione del rischio” è correlata al rischio, e alla rischiosità.
Quindi, laddove sussistano tutti i migliori requisiti e le migliori condizioni di sicurezza, il rischio di infortunio permane quando la percezione del rischio è inadeguata.
Essa, cioè, consiste nella percezione soggettiva del rapporto tra situazione di pericolo e possibili rischi conseguenti. Strettamente correlata al rischio, è anche l’attenzione.
L’errore umano è normalmente spiegato attraverso il ricorso ad una sua carenza, che si presenta durante l’esecuzione di un’azione. Lo spostamento delle risorse attentive individuali può essere determinato anche da altri elementi, come le preoccupazioni personali, le competitività interpersonali e l’eccessiva fiducia nella tecnologia e nei sistemi di sicurezza.
L’analisi che si presenta, condotta dall’ISTAT e realizzata con la collaborazione della Consulenza Statistico Attuariale dell’INAIL, ha l’obiettivo di fornire un quadro su aspetti riguardanti la misura dell’esposizione a fattori di rischio per la salute dei lavoratori a partire dalla loro percezione soggettiva, la rilevazione della presenza di problemi di salute provocati o resi più gravi dall’attività lavorativa e il fenomeno degli infortuni sul lavoro.
L’indagine o “modulo ad hoc” è nato su indicazione della Strategia Europea per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro che, per il quinquennio 2002-2006, invitava i Paesi membri a “Promuovere un vero benessere sul luogo di lavoro sia dal punto di vista fisico sia psicologico e sociale”.
Tale rilevazione, inserita nell’Indagine Forze di Lavoro da tutti i Paesi membri nel II trimestre 2007, e quindi anche dall’ISTAT, ha degli spunti di originalità rispetto alle usuali rilevazioni INAIL.
Infatti la percezione della presenza di fattori di rischio per la salute sui luoghi di lavoro costituisce, tra le questioni affrontate dal modulo ad hoc, una novità.
Il fattore di rischio negli infortuni sul lavoro, un elemento da non sottovalutare!
Oltre agli infortuni sul lavoro e ai problemi di salute, per la prima volta viene rilevato il fenomeno dell’esposizione ai fattori di rischio, che possiede una connotazione del tutto soggettiva anche se riferisce sulle condizioni di sicurezza in cui si trovano ad operare i lavoratori.
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La prima parte del questionario “ L’esposizione a fattori di rischio per la salute sui luoghi di lavoro” è relativa a tutti gli occupati, pari a 23 milioni 298 mila unità.
I fattori di rischio infortuni sui luoghi di lavoro sono stati raggruppati in due distinte categorie: fisici e psicologici.
I fattori di rischio per la salute fisica sono raggruppati in quattro aree: la prima include l’esposizione a polveri, gas, esalazioni, fumi, sostanze chimiche; la seconda l’esposizione a rumori eccessivi o vibrazioni; la terza riguarda l’assunzione di posture dannose, spostamenti di carichi pesanti o movimenti che si ripercuotono negativamente sulla salute e l’ultima riguarda l’esposizione ad un generico rischio di infortuni sul lavoro.
Tra i vari fattori di rischio che possono compromettere l’equilibrio psicologico sono stati rilevati in particolare il carico di lavoro eccessivo, fenomeni di prepotenza o discriminazione, minacce o violenze fisiche.
Sono oltre 10 milioni gli occupati (pari al 44,0%) che percepiscono, nello svolgimento del proprio lavoro, la presenza di almeno un fattore di rischio per la propria salute.
Di questi più dell’80% avverte la presenza di fattori di rischio che possono compromettere la salute fisica, mentre il 40% ritiene di essere esposto a rischi che potrebbero pregiudicare l’equilibrio psicologico.
L’analisi delle caratteristiche di chi si sente esposto a fattori di rischio evidenzia che, per entrambe le tipologie, la quota più alta risiede al Centro. Le classi di età più interessate dall’esposizione ai rischi risultano quelle centrali (35-44 e 45-54) sia per i fattori di natura fisica sia per quelli di natura psicologica.
La componente straniera dell’occupazione avverte in misura maggiore rispetto a quella italiana l’esposizione ai fattori di rischio per la salute, in particolare per quelli di natura fisica
La maggiore concentrazione di persone esposte a rischi per la salute fisica si registra nei settori delle Costruzioni (63,4%), dell’Agricoltura (54,3%), dei Trasporti (48,3%), della Sanità (45,5%) e delle Attività Manifatturiere (44,7%).
Sono i settori manifatturiero, delle Costruzioni e dei Trasporti, in cui gli stranieri rappresentano una quota rilevante dell’occupazione, dove le differenze nella percezione di rischi per la salute fisica assumono proporzioni più marcate.
Il rischio di infortunio è quello maggiormente percepito: oltre un quinto degli occupati ne avverte la presenza.
L’esposizione degli operai al rischio di infortuni sul lavoro
La categoria professionale più esposta a questo fattore è quella degli operai dove quasi uno su tre percepisce questo tipo di rischio, mentre quello delle Costruzioni è il settore a più elevata esposizione con il 45% degli occupati, seguito dai Trasporti e Agricoltura.
Anche l’assunzione di posture dannose, lo spostamento di carichi pesanti e comunque, l’esposizione a tutte quelle cause che sono alla base di problemi di salute di natura osteo-muscolare, è fortemente avvertita e viene segnalata dal 20,4% degli occupati.
L’esposizione a sostanze chimiche (polveri, gas, esalazioni, fumi, ecc.) e a rumori o vibrazioni riguardano rispettivamente il 16% e il 14,6% degli occupati.
Tra i fattori di natura psicologica quello prevalente risulta il carico di lavoro eccessivo citato dal 14,5% degli occupati.
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La seconda parte del modulo ad hoc si occupa di rilevare la presenza, negli ultimi dodici mesi, di problemi di salute causati o aggravati dall’attività lavorativa. In linea con le indicazioni fornite da Eurostat è stato chiesto ai rispondenti di dichiarare qualsiasi problema di salute, anche se di lieve entità, derivante dall’attività lavorativa.
A questa parte afferiscono tutti gli occupati e i non occupati con almeno una precedente esperienza lavorativa che ammontano a 40 milioni 501mila.
Le persone che hanno sofferto di problemi di salute causati o aggravati dall’attività lavorativa nell’ultimo anno sono circa 3 milioni.
La quota complessiva del fenomeno si attesta al 6,9%.
Le malattie riconducibili alla professione risultano essere strettamente connesse al fattore età, mostrando un trend crescente fino alla classe 45-54 anni.
Per le classi di età successive si verifica una flessione, ma i valori restano comunque elevati con il 7,8% della classe 55-64 e con il 7,1% della classe 65 e oltre.
Il quadro che emerge deriva da una prolungata esposizione agli effetti dell’attività lavorativa delle classi più anziane che contribuisce all’insorgere dei problemi di salute.
Il fenomeno delle malattie connesse al lavoro colpisce gli italiani in misura più accentuata degli stranieri (7,0% contro il 5,8%).
Fra le persone che hanno sofferto negli ultimi 12 mesi di un problema di salute derivante dal lavoro, il 14,0% dichiara di essere stato affetto da più di un problema.
A queste persone è stato chiesto di riferire sul problema di salute ritenuto più serio.
Oltre la metà degli intervistati dichiara di soffrire di un problema osseo, articolare o muscolare.
Anche lo stress, la depressione e l’ansietà, citati dal 16,2% dei rispondenti, rappresentano una fonte di disagio per chi pratica o ha svolto un’attività lavorativa.
Il 9,9% ha segnalato problemi respiratori, il 5,6% cardiovascolari, il 4,2% di udito, il 3,7% alla vista. Il 9,2% dichiara di aver sofferto di un problema di salute diverso da quelli elencati tra i quali figurano mal di testa, infezioni da virus o batteri e problemi di tipo cutaneo.
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Nella terza sezione “ infortuni sul lavoro”, la popolazione di riferimento è costituita dagli occupati e i non occupati nel secondo trimestre 2007 , che hanno svolto un lavoro negli ultimi 12 mesi e risultano 25 milioni 116 mila: il 50,1% risiede al Nord, il 20,6% al Centro e il 29,3% nel Mezzogiorno.
La gran parte risulta occupata, mentre poco più del 7% sono i non occupati con un’esperienza lavorativa che si è conclusa o interrotta nell’ultimo anno.
Il numero di eventi infortunistici, stimato nell’indagine ISTAT, pari a 1 milione 66 mila, appare in linea con i dati INAIL, tenuto conto che sono stati rilevati tutti gli eventi traumatici, anche di lieve entità, indipendentemente dall’eventuale denuncia all’Istituto Assicuratore.
L’analisi fa riferimento esclusivo alle persone che hanno subito almeno un infortunio e non ai singoli eventi.
Le persone che hanno dichiarato di aver subito un infortunio sul luogo di lavoro o durante il tragitto casa-lavoro nell’arco dell’ultimo anno sono 937 mila e costituiscono il 3,7% di coloro che svolgono o hanno svolto un’attività lavorativa negli ultimi dodici mesi.
Un terzo degli infortunati ha tra 35 e 44 anni, il 24,0% tra 45 e 54 anni, il 23,7% tra 25 e 34 anni e l’8,5% tra 15 e 24 anni.
Oltre la metà di quanti dichiarano un infortunio risiede nel Nord del Paese ma in termini relativi, come per i problemi di salute derivanti dal lavoro, è il Centro che registra il valore più alto con il 4,4%, mentre il Mezzogiorno denota una proporzione più contenuta rispetto alle altre due ripartizioni (2,8%).
Il fenomeno degli infortuni sul lavoro è maggiormente presente in alcuni settori di attività economica, come il manifatturiero: il minore sviluppo di tali settori nel Mezzogiorno influisce sulla quota complessiva registrata in questa parte del Paese.
I cittadini stranieri (1.629.630), che dichiarano di aver subito un infortunio sono circa 88 mila, pari al 5,4% della popolazione straniera, percentuale più alta rispetto a quella della componente italiana, pari al 3,6%
I comparti industriali (Attività manifatturiere e Costruzioni), che raccolgono oltre il 42% delle persone che hanno subito un infortunio sul luogo di lavoro negli ultimi dodici mesi, insieme al Commercio, con il 10,8%, e la Sanità con l’8,4%, sono i settori maggiormente interessati dagli eventi infortunistici.
L’analisi presentata ha lo scopo di mettere in atto, grazie alla rilevazione della quota di occupati che “percepisce” una maggiore esposizione a fattori di rischio per la salute sul posto di lavoro, più intense azioni di prevenzione e protezione in grado di ridurre le probabilità stesse degli infortuni sul lavoro.
L’informazione, la formazione, i controlli periodici rientrano nell’ambito delle azioni associate alla valutazione del rischio.
Gli Infortuni sul lavoro nell’Unione Europea
I criteri di rilevazione adottati da EUROSTAT (Istituto Ufficiale di Statistica dell’Unione Europea) considerano infortuni sul lavoro quelli con “assenze dal lavoro di almeno 4 giorni” ed esclusi quelli in itinere.
EUROSTAT tiene presente che le statistiche espresse in valori assoluti presentano gravi carenze dal punto di vista della completezza dei dati , per i seguenti motivi :
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alcuni Paesi membri non disponendo di un sistema assicurativo specifico,non sono in grado di fornire dati completi ma presentano livelli di sotto dichiarazione compresi tra il 30 % e il 50% del totale.
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alcuni Paesi membri non rilevano gli infortuni stradali avvenuti nell’esercizio dell’attività lavorativa.
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in molti Paesi membri i lavoratori autonomi e i relativi coadiuvanti sono esclusi dalle rispettive statistiche o totalmente o parzialmente. In Italia tale categoria è normalmente coperta.
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in alcuni paesi membri diversi settori economici non vengono considerati nelle statistiche in particolare parti del settore pubblico,dell’estrazione dei minerali e parti del settore trasporti
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disomogeneità nelle procedure di registrazione dei casi mortali.
Per questo motivo EUROSTAT invita ad utilizzare i dati assoluti solo a livello globale e a fini indicativi.
Per i raffronti tra i diversi Paesi, EUROSTAT ha espresso la raccomandazione di utilizzare i “tassi di incidenza standardizzati” .
Relativamente agli infortuni sul lavoro, in valore assoluto, nell’ Unione Europea, in complesso, si registra una diminuzione del 17% nel periodo 1998-2007, si passa da circa 4.700.000 nel 1998 a circa 3.880.000 nel 2007.
Nel 2006 si ha una lieve diminuzione rispetto al 2005 (-1,9%), attestandosi di poco al di sopra della soglia dei 3,9 milioni di casi.
Nel 2007 si ha un ulteriore diminuzione dello 0,62% rispetto al 2006.
In termini relativi si passa da un indice di 4.089 infortuni per 100.000 addetti nel 1998 ad un indice di 2859 casi per 100.000 addetti nel 2007
Fig 2.1.1 – Infortuni sul lavoro denunciati nella Comunità Europea
Gli infortuni sul lavoro mortali, sono diminuiti da 5.476 nel 1998 a 4.011 nel 2005, nell’anno successivo hanno subito un aumento che è risultato pari al 3,2% portando a 4140 il numero assoluto degli incidenti mortali, per diminuire nuovamente nel 2007 a 3.782.
Il tasso di incidenza per 100.000 occupati è diminuito da 3,2 nel 1998 a 2,1 nel 2007.
Dopo i continui segnali positivi che si sono registrati tra il 1998 e il 2005 nella riduzione degli infortuni sul lavoro mortali, (da 3,2 casi per 100.000 occupati nel 1998 a 2,4 casi per 100.000 occupati nel 2004) , si è registrato nel 2006 in Europa un aumento dei tassi di incidenza per i casi mortali. da 2,3 a 2,4.
Fig 2.1.2 – Infortuni sul lavoro mortali nella Comunità Europea
Secondo i dati Eurostat, valutati per Stati membro e anno, in Italia gli infortuni sul lavoro si sono ridotti da 700.000 nel 1998 a 551.663 nel 2006 e a 532.892 nel 2007.
Sulla base dei tassi di incidenza standardizzati il nostro Paese registra per il 2006 e il 2007 degli indici infortunistici rispettivamente di 2.812 e 2.674 infortuni per 100.000 occupati, più favorevoli rispetto a quelli riscontrati nelle due aree UE, 3.469 (nel 2006) e 3.279 (2007) infortuni per 100.000 occupati nell’ UE -area Euro, 3.093 (nel 2006) e 2.858 (nel 2007) infortuni per 100.000 occupati nell’area UE – 15.
La graduatoria risultante colloca l’Italia al di sotto anche dei maggiori Paesi del vecchio continente come Spagna, Francia e Germania.
Fig 2.1.3 – Tassi di incidenza per 100.000 occupati nell’Unione Europea per stati membro e anno (media 1995-2007)
Anche l’indice di incidenza degli infortuni sul lavoro mortali per l’Italia, che si era ridotto da 5 (nel 1998) a 2,5 (nel 2004) casi per 100.000 occupati , ha subito nel 2006,che è stato un anno particolarmente negativo per gli infortuni mortali, un aumento da 2,6 (nel 2005) a 2,9 decessi per 100.000 occupati. Con tale valore (2,9) l’Italia si attesta su un valore poco superiore a quello dell’Area-Euro (2,8) e dell’ UE-15 (2,5), ma comunque inferiore a quello dei paesi come la Spagna (3,5) e la Francia (3,4).
Fig 2.1.4- Infortuni sul lavoro mortali : Tassi di incidenza per 100.000 occupati nell’ Unione Europea per stati membro e anno (media 1995-2007)
Questo vuol dire che le iniziative per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro hanno inciso sul fenomeno.
E’ indubbio che la trasformazione dei processi produttivi, il venire meno di catene di montaggio con impiego di persone, la robotizzazione e più in generale il sempre più frequente allontanamento dell’uomo dalle macchine hanno contribuito a rendere meno rischiose le lavorazioni.
Da non sottovalutare l’evoluzione del quadro normativo che ha determinato una progressiva presa di coscienza dell’esigenza prioritaria di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Gli Infortuni sul lavoro in Italia
Per capire quale sia oggi l’andamento degli infortuni sul lavoro in Italia è opportuno eseguire una veloce panoramica partendo dagli anni ’60 ad oggi. Dagli oltre 1.360.000 infortuni sul lavoro denunciati all’inizio del decennio.
Si raggiunge però l’apice degli infortuni sul lavoro nel 1970, con 1.600.000 casi; nel 1980 il fenomeno decresce fino a circa 975.000 infortuni nei luoghi di lavoro,che sono quelli che vengono registrati nel 1985.
A caratterizzare l’ultimo quinquennio degli anni ’80 e i primi anni ’90 è l’incremento del numero delle denunce di infortuni sul lavoro, che si attestano su valori che superano il 1.200.000.
Si registra una flessione nei primi anni del 2000, con poco più di un milione di infortuni denunciati. Se si estende l’osservazione del fenomeno degli infortuni sul lavoro a questo primo scorcio del terzo millennio, il calo registrato nel 2008 non fa che confermare un tendenziale andamento decrescente delle denunce di infortunio, che sono scese da 1.023.389 del 2001 a 875.144 nel 2008 e ancora 790.112 nel 2009.
Nel 2010 gli infortuni nel lavoro denunciati in Italia sono 775.374 .Per meglio visualizzare tale andamento si riporta il seguente grafico.
Fig 2.2.1 – Andamento infortuni sul lavoro in Italia
Per quanto concerne gli infortuni sul lavoro mortali, nel dopoguerra, in particolare nella prima metà degli anni Cinquanta, si registravano ogni anno 3.500 morti sul lavoro; negli anni sessanta, si tocco il tragico record storico di 4.664 morti sul lavoro in un anno (1963 anno del boom economico).
Dopo il 1975 il fenomeno comincia a decrescere progressivamente pur mantenendosi generalmente al di sopra dei 2.400 morti. A caratterizzare gli anni Ottanta è l’incremento del numero dei casi mortali che raggiunge il picco massimo nel 1989 con 2.550 casi mortali.
Nel 1990 il fenomeno assume ancora dimensioni macroscopiche con 2.428 morti. Nel quinquennio successivo inizia la discesa registrando nel 2000 mediamente 1.300 casi all’anno.
Se si osserva, tuttavia, questa triste realtà da un punto di vista strettamente statistico, si può rilevare, attraverso l’obiettività dei numeri, come l’andamento storico (1960-2000) del fenomeno degli infortuni sul lavoro mortali sia costantemente decrescente.
In questi 40 anni, in cui le morti sul lavoro si sono ridotte dei due terzi, si sono succedute nel Paese profonde trasformazioni sia nella struttura occupazionale (da una società prevalentemente contadina a una industrializzata fino a quella fortemente terziarizzata) sia sul versante dell’innovazione tecnologica e organizzativa.
A questi fattori si sono poi associati importanti progressi in campo sociale civile e culturale che hanno determinato, tra l’altro, una crescente attenzione anche normativa ai problemi dell’ambiente e della salute, con positive ricadute sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
La tendenza al ribasso è proseguita anche negli anni 2000 che hanno fatto registrare tra il 2001 e il 2008,un ulteriore flessione di circa il 28% in valore assoluto.
Il calo degli infortuni sul lavoro è stato continuo e sostenuto dal 2001 (1549 morti sul lavoro) sino al 2005 (1277 casi) per interrompersi per un improvviso quanto imprevisto rialzo nel 2006 che ha contato 1342 decessi.
Fortunatamente il dato 2007 (1205) e ancora il 2008 (1116) e il 2009 (1038)hanno segnato una decisa ripresa della riduzione degli eventi mortali. Nel 2010 si contano 937 infortuni mortali.
Fig 2.2.2 – Andamento infortuni mortali in Italia
Anche per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro indennizzati, ovvero gli infortuni che hanno comportato un’invalidità temporanea o permanente, si ha una notevole tendenza al ribasso.
Nel 1960 erano più di un milione, dieci anni più tardi viene raggiunto picco massimo di 1.300.000. Nel 1980 si scende per la prima volta al di sotto del milione e questo dato si mantiene pressoché costante fino al 1990.
Anche in questo caso, nel decennio successivo si ha una svolta. Nel 2000 infatti si scende sotto la soglia dei 700.000 . Dal 2001 al 2009 il numero degli infortuni sul lavoro indennizzati continua a mostrare una tendenza al ribasso, attestandosi a 517.256 casi nel 2009.
Tutto ciò esprime come gli infortuni sul lavoro sono diminuiti non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche dal punto di vista degli esiti lesivi.
Analizzando i dati disaggregati per regione,la regione con maggior numero di eventi lesivi risulta essere la Lombardia, quella con più elevata frequenza di accadimento l’ Umbria. Al secondo posto della graduatoria troviamo l’Emilia Romagna, segue il Friuli Venezia Giulia e la Puglia.
Agli ultimi posti si attestano la Sicilia, la Campania e il Lazio. Per una corretta valutazione del fenomeno degli infortuni sul lavoro sarebbero necessari approfondimenti sui diversi fattori connessi alle distinte condizioni socioeconomiche che caratterizzano aree geografiche disomogenee, facendo riferimento al tessuto occupazionale delle singole regioni e al diverso peso dei singoli settori di attività economica.
A parziale motivazione di tale classifica occorre ricordare che, ad esempio, nel Lazio è significativa la presenza di uffici della pubblica amministrazione centrale e di molteplici aziende che operano nei servizi e nel terziario avanzato, settori impiegatizi a basso rischio.
In Umbria, operano imprese che sono per lo più di piccole dimensioni e a carattere artigianale e c’è una maggiore presenza,rispetto al complesso nazionale, dei settori delle Costruzioni Edili e delle lavorazioni di materiale per l’edilizia e produzione di ceramica:tutto ciò rende il tessuto produttivo della regione particolarmente rischioso.
L’Emilia Romagna è caratterizzata da una tradizione di imprese manifatturiere e dalla presenza di importanti distretti industriali contraddistinti da una molteplicità di aziende di piccole dimensioni.
In Friuli Venezia Giulia si registra un elevato numero di lavoratori stranieri e un forte peso delle industrie della lavorazione dei metalli e del legno,tra le più rischiose del comparto manifatturiero.
In Italia, le statistiche sui lavoratori immigrati diffuse dai vari Enti forniscono uno scenario che descrive in maniera completa il fenomeno della partecipazione al mercato del lavoro, anche di fronte ad una forte presenza di lavoro nero soprattutto nei settori quali agricoltura ed edilizia. In particolare la prima generazione, costituisce ancora una componente rilevante, che risulta però meno qualificata, dedita allo svolgimento delle attività nelle quali è prevalente la manualità.
La seconda generazione,costituita dai figli dei migranti,di certo più specializzata e dunque con maggiore opportunità di svolgere lavori qualificati e di profilo medio-alto.
In generale risulta che poco meno del 96% degli infortuni degli stranieri si verifica nell’industria e servizi, in particolare prevale il peso delle attività di tipo industriale, in primo luogo le costruzioni(13,7% del complesso di tutti gli infortuni riguardanti gli stranieri),a seguire l’industria dei metalli e i trasporti.
L’incidenza infortunististica, espressa dal rapporto tra infortuni denunciati e lavoratori assicurati all’INAIL, risulta più elevata per gli stranieri rispetto agli italiani: ad esempio nel 2008 , 44 casi denunciati ogni 1.000 occupati ,contro i 39 dei soli italiani,in termini relativi si traduce in una differenza del 13% in più per gli immigrati.
I motivi sono ben noti : gli immigrati sono impiegati in settori a più alta rischiosità nei quali prevale l’attività manuale (Edilizia, Industria pesante, Agricoltura) e sono disposti a svolgere turni di lavoro più lunghi che spesso sono accompagnati da stanchezza e da formazione professionale non sempre adeguata.
Le regioni nelle quali si registra il maggior numero di denunce di infortunio di lavoratori stranieri sono quelli a maggiore densità occupazionale. Si tratta di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto che insieme totalizzano il 57,3 % delle denunce e il 50% delle morti bianche.
In termini generali, i settori a più alto rischio di infortuni sul lavoro sono la lavorazione dei metalli, la lavorazione del legno e le costruzioni. Si tratta di settori nei quali c’è larga presenza di attività di tipo manuale o comunque dove risulta stretto e continuo il contatto fisico tra lavoratore e fattore di rischio legati a strumenti, macchinari o materiali di lavoro.
Il fattore di lavorazione di tipo manuale quale fattore di rischio infortunistico emerge ancora più chiaramente se si guarda agli infortuni con postumi di invalidità permanente: il settore più a rischio risulta essere la lavorazione del legno, dove il 60% degli infortuni colpisce la mano, seguita dalle costruzioni e dall’estrazione dei minerali.
Se si passa alla frequenza degli infortuni sul lavoro con conseguenze mortali, al primo posto c’è il settore dei trasporti, segue l’estrazione di minerali e al terzo posto le costruzioni, settore al quale, purtroppo, spetta il primato del numero di morti in assoluto.
Anche l’agricoltura presenta una rischiosità molto elevata. Le attività del commercio e dei servizi si posizionano su livelli di rischio più bassi.
Riferimenti bibliografici
1 “percezione del rischio” tratto da FOCUS: Indagine ISTAT-INAIL “Salute e sicurezza sul lavoro”; rapporto annuale 2008.
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